Viaggio fra gli Autori emergenti: Episodio 3- Siamo tutti figli di Caino di Paolo Battista
Bentornati nel nostro "Viaggio fra gli Autori emergenti"! Non vedevo l'ora di riprendere questa rubrica perchè sono molto legata a questa idea e mi piace moltissimo scoprire, di volta in volta, nuovi Autori davvero interessanti. L'episodio di oggi sarà forte perciò preparatevi bene.
Protagonista di questa recensione, come da titolo, è "Siamo tutti figli di Caino", edito da Alter Ego nel 2016 al prezzo di € 13. Avevo letto e preso contatto con il suo Autore, Paolo Battista, prima della lunga pausa che le Astronavi hanno avuto ed ora eccomi qui a recuperare. Perciò bando alle ciance e iniziamo ad addentrarci in questo romanzo davvero duro.
Pierpaolo guarda lo spiazzo popolato di persone di fronte al Ser.T.
Casilino. Anzi no, non lo guarda. Pierpaolo lo vive. Ci vive. Pierpaolo è
un eroinomane, un tossico come gli altri, uno che pensa sempre questa è l’ultima ma che poi rimanda sempre, uno per cui il tempo non passa mai, in un inferno circolare che risucchia nel nero più nero della bianca,
del metadone, degli psicofarmaci. Non succede mai niente lì dentro, in
un’attesa continua, una continua guerra che prima di essere contro
qualcuno è contro se stessi. Un presente eterno, da cui sono banditi
passato e futuro. Giorni uguali l’uno all’altro, maledetti nello stesso
modo, pronti per essere usati e abusati. Forse però Pierpaolo è diverso
dagli altri. Lui è un laureato, un poeta. Lui sa come raccontare i leoni
e i gladiatori dell’arena. È uno di loro. Uno che ha capito come vanno
le cose anche se può far poco per cambiarle.
Recensione:
A causa del lungo stop delle Astronavi, ho deciso di rileggere Caino da capo (molto presto chiamerete anche voi questo libro semplicemente "Caino", credetemi) e mai scelta fu più sensata. In questo modo ho potuto sentire maggiormente la denuncia che Paolo Battista racconta nel suo lavoro. Caino è 194 pagine di dolore, angoscia, rabbia, voglia di riscatto, denuncia della società, odio verso il mondo e verso se stessi, amore salvifico, sesso, speranza. Dalla prima pagina vi ritroverete immersi nelle vite di Pierpaolo e dei suoi amici, tossicodipendenti come lui, vite che assumono, di volta in volta, sfumature di colore acciaio, grigio antracite, nere, mai luminose, mai confortanti. Tutto il romanzo si svolge nel marciapiede tra il Ser.T. Casilino e il China e lì, in un susseguirsi di giornate sempre uguali, scandite dagli stessi ritmi, dalle stesse cose, droga, piccoli furti, violenza, emarginazione, ci viene mostrato un mondo che ostinatamente facciamo finta di non vedere, perchè "a me non può succedere", perchè ne abbiamo paura, come di tutte le fragilità umane. Non aspettavi nessun conforto dall' Autore perchè non ha minimamente intenzione di indorarvi la pillola, anzi, vuole mostrare, attraverso un stile di scrittura forte, senza mezzi termini, senza pudore, la realtà dei suoi personaggi. Ogni persona, perchè di persone parliamo e non di rifiuti, è descritta minuziosamente in questo romanzo: Schizzetto, Gigetto, Umbertino, Lisa, Olimpia e tutti gli altri che gravitano nell'universo del nostro, sono ben stampati e caratterizzati nella mente del lettore e, vogliate o meno, finirete per entrare in empatia con il loro dolore. Sono tutte vite al limite le loro, che puzzano di morte da lontano, che vivono il tormento del quotidiano alzarsi la mattina, che non riescono per loro volontà ma più spesso per mancanza di possibilità reali, a cambiare le proprie vite. Hanno figli, hanno madri, fratelli e sorelle che sono sempre sullo sfondo, come se non avessero un ruolo nelle loro vite e, nei pochi casi in cui l'hanno sono antagonisti, fanno più male che bene. Ti arrabbi con questi personaggi, ti arrabbi tanto, all'inizio li giudichi pure forse, perchè tanto giuducare la fragilità altrui è tanto facile ma più si prosegue nel romanzo, più la rabbia si sposta da loro a noi, alla nostra società. Questa società che "cura" queste persone a colpi di metadone, rendendoli di fatto dipendenti da quello per sopravvivere, anzichè offrire un reale percorso di cura, ascolto, reinserimento.
" Per loro siamo numeri: un numero di scheda, 1805 o 1547 o 569, e un numero di mescita, 19 mg o 80 mg o 45 mg, dopodiché puoi anche morire. Una volta fuori ognuno per la sua strada, neanche salutano se ti vedono, anzi fanno finta di non vederti, che è pure peggio... Se solo riuscissero a capire che un loro sorriso, una loro parola potrebbe rilassare i nervi a uno qualsiasi di noi, per un inizio di giornata meno stronzo del solito, abituati come siamo a prendere porte in faccia e calci in culo ovunque andiamo..." (Siamo tutti figli di Caino pag. 29).
"Le nuvole sembrano macchie di muffa e l'aria ha il sapore di una minestra rancida. Cerco rifugio in qualche ricordo positivo, subito sopraffatto dall'ennesima morte che poteva, doveva essere evitata, L'ennesima vittima di una strada che ha colpito senza rimorsi, e noi qui a parlarne come se fossimo stati baciati dall'immortalità, come se non fosse possibile che un giorno o l'altro il prossimo a morire sia uno di noi." (Siamo tutti figli di Caino pag.32).
Al centro della storia personale di Pierpaolo c'è sicuramente Silvia, la donna che ama. Si sono conosciuti al Ser.T, si sono persi immediamente in un'attrazione fisica incontenibile, hanno imparato ad amarsi profondamente, nonostante sappiano entrambi che quella relazione è pericolosa, è tossica, è complessa. Silvia è una giovane donna genovese, con una storia difficilissima alle spalle, con un'anima fragile che la puoi toccare e sentire che puoi frantumarla in un secondo, ma un'anima in cui risiede la speranza, la voglia di cambiare questo destino che sembra già segnato per lei e per il suo uomo, il bisogno di amore, di affetto, di famiglia. Silvia vuole salvare Pierpaolo e, attraverso di lui, attraverso il loro amore, vuole salvare se stessa. Silvia è la voglia di vivere una vita serena, normale, tranquilla, fatta di un lavoro vero, di amiche, magari di figli un giorno, quando saranno usciti dall'inferno. E' bella Silvia, bella nei suoi tratti somatici ma bella soprattutto nell' anima. Ama senza remore, vive ogni attimo come fosse l'ultimo, ha tanta paura dentro di sé e al contempo è l'unica ad avere ancora risorse da spendere. Pierpaolo l'ama di un amore delicato, dolcissimo, dipendente anche da lei, in un certo senso, da lei che smuove le sue paure più profonde, da lei che non gli permette di rinuciare al suo sogno di pubblicare i suoi scritti, da lei che lo sprona a cambiare città, a trovare una nuova via. Silvia, seppur con tutte le sue fragilità ed il dolore che si porta dentro, lacerata ed impaurita da una vita che l'ha presa a calci e pugni troppe volte nel modo più crudele, è l'unico raggio di sole capace di squarciare l'acciaio perenne di questo romanzo. E' un personaggio positivo, Silvia, è bellezza semplice e schietta.
"Silvia, la mia Silvia. Quando sto con lei la mia mente si sgombra di tutti i pensieri che la opprimono e le ore passano veloci come carezze. Ogni giorno la guardo con occhi nuovi, come adesso, e lei un pò imbarazzata un pò compiaciuta sorride e mi chiede di smetterla, sorride e con gli occhi dolcissimi mi chiede di prenderla. Allora ripenso al nostro primo incontro, a Luna dei Verdena, al sesso, alle lunghe passeggiate di quei giorni, alle dolci improvvisate frutto di emozioni forti, reali, e mi persuado che quello con Silvia è stato amore a prima vista, anche se entrambi continuiamo ad avere una paura fottuta di questa relazione tossica e coinvolgente allo stesso tempo." (Siamo tutti figli di Caino pagg. 33-34)
Non manca nemmeno l'autocritica nel libro. Spesso Pierpaolo si trova riflettere su se stesso e sui suoi compagni dell'arena, riflette su quanto spesso si rifugino nella droga, nel Rivotril, nell'alcool per scacciare i loro demoni anziche affrontarli. Spesso riflette su quanto poco stia facendo per cambiare la sua vita, a come desideri cambiarla ma non abbia gli strumenti e le forze per farlo, risucchiato dalle catene della droga. Ma poi torna la rabbia contro il sistema, contro la società, contro la gente comune che li tratta come feccia, come una malattia da cui tenersi lontano, come qualcosa che dovrebbe essere cancellato e schiacciato subito. E' tormentato Pierpaolo, dalle ingiustizie che vive e da se stesso, in un circolo che lo trascina sempre più giù, in un gioco sul filo del rasoio per sopravvivere al quale non può bastare solo l'amore di Silvia.
" Cazzo , penso mentre mi scolo una Peroni in lattina, è triste ma ormai la maggior parte di loro si è così abituata a questo stato di cose che la galera è diventata un'altra casa. Accettano la vita per come viene ormai e di certi non sperano in qualche aiuto dalla società, che li considera non degli esseri umani ma dei reietti, falliti senza più cervello e futuro. Ma questa società così lontana dai problemi reali si sbaglia di grosso e continuando su questa strada avvà sulla coscienza centinaia di esistenze che di sicuro potevano essere aiutate ma che invece vengono solo emarginate e criminalizzate." (Siamo tutti figli di Caino pagg. 113-114).
Questo romanzo trasuda disperazione e rabbia. Ho spesso sentito freddo dentro nel leggerlo e mi sono ritrovata con le lacrime che mi rigavano il viso. Caino può essere compreso appieno da chi ha vissuto l'esperienza della tossicodipendenza e, forse, anche se non in modo completo, da chi ha vissuto vicino a chi ha un problema di tossicodipendenza. Ma dovrebbe essere letto da tutti, forse persino a scuola, magari all'ultimo anno delle superiori. E' una lama che ti gira nel cuore, Caino, che ti sconvolge continuamente. Non potevo leggere più di uno o due capitoli alla volta, soprattutto in certe parti del romanzo, perchè ero sopraffatta e mi mancava quasi il fiato. Mi sono incazzata con ogni personaggio, ho amato Silvia e la sua purezza. Ho detestato la durezza con cui Paolo Battista mi ha sbattuto in faccia la realtà, senza compromessi né descrittivi, né di linguaggio. Ho ringraziato Paolo Battista, alla fine del libro, per le stesse ragioni. E lo ringrazio ancora perchè Caino non è solo un romanzo, Caino è un'esperienza formativa, Caino è un pugno in pieno viso e mi serviva.
Intervista a Paolo Battista:
Aspettando
le Astronavi: Ciao Paolo, benvenuto su Aspettando le Astronavi e grazie per il
tempo che hai deciso di concedere a questa intervista!
A:
Iniziamo da te… Chi è Paolo Battista? Come ti descriveresti?
P: Ciao,
e grazie a te per l’invito. Chi è Paolo battista?? Mhhhh… domanda difficile. Allora,
ho quarantanni e li ho vissuti tutti al limite. Sono una persona che non si
ferma alle apparenze, che non giudica solo per il gusto di farlo e che fa molti
errori. Ho un bel po’ di difetti, ma quando amo qualcuno lo amo con tutto me
stesso. Ho sempre avuto dentro di me una propensione alla rivolta, che non
sempre mi ha fatto stare bene. Sono estremamente sincero, e quando qualcosa non
mi piace non riesco a tenermela dentro. Per la famiglia e gli amici farei di
tutto, sono molto impulsivo e viscerale, spesso sregolato, con la testa fra le
nuvole, ma nel momento del bisogno avrai sempre in me qualcuno su cui poter
contare, e questo credo sia la cosa più importante. Per il resto lasciamo il
giudizio ai posteri, eheheheh!
A:
Qual è il tuo libro preferito?
P: Più
che il libro preferito, ti rispondo con il libro che mi ha cambiato la vita: Illuminazioni di Rimbaud.
A:
Che musica ascolti?
P: La
musica è la mia vita, quanto la poesia. Prima di essere poeta, sono un
batterista. Scrivo canzoni da quando avevo tredici anni, e la musica la amo tutta. In
questo momento però sto ascoltando molto: Chet Baker, hip hop partenopeo come
Co’ Sang, Moderup, 4/20, El coyete, etcetc e John Frusciante.
A:“Siamo
tutti figli di Caino” è il tuo romanzo d’esordio?
P: Caino
si, è il mio primo romanzo. E spero non l’ultimo.
A:
Sono sempre curiosa di sapere che tempi di gestazione
hanno i romanzi. Quanto tempo hai impiegato a scrivere il tuo romanzo? Ho letto
da qualche parte che è stata una gestazione travagliata.
P: Si,
ho lavorato a questo romanzo per quasi dieci anni. Tutto è iniziato quasi per
gioco, fino a quando ho capito che certe storie devono essere raccontate. Lo
stile documentaristico del racconto, forse a un certo punto, ha reso le cose un
po’ più facili; ma certo non è stato semplice mettersi in gioco così e
soprattutto rendere queste persone personaggi da romanzo, proprio perché sono
persone reali, con la loro vita appesa e disfunzionale. Quello che m’interessa
è incidere, accendere una luce su storie marginali e oscure.
A:
La storia che racconti ha sicuramente, per intensità, un certo grado di
autobiografia, di vita vissuta. Non ti chiedo certamente a che livello ma pensi
che un argomento come quello della tossicodipendenza possa essere trattato in
un romanzo solo da chi l’ha vissuta molto da vicino?
P: Si,
assolutamente. Io sono molto old-school in questo. Penso che se vuoi parlare di
certe cose le devi vivere, così come se vuoi scrivere d’amore, almeno una volta
nella vita devi essere stato innamorato. Se vuoi scrivere una cosa vera bisogna
spolpare mangiare quello che vivi.
A:
In Caino le ambientazioni erano quasi un di più ed infatti quasi tutto il
romanzo si svolge negli stessi luoghi. E’ una scelta voluta per dare maggiore
intensità ai personaggi? Per aiutare, passami il verbo, il lettore ad entrare
realmente nella vita di Pierpaolo?
P: Non
so, non credo siano un di più. Diciamo che l’ambientazione, cioè questo
marciapiede di periferia a metà strada tra un Ser. T. e un negozietto cinese è
per me uno dei personaggi principali del romanzo. Senza di esso sarebbe di
sicuro stata un’opera diversa. Ho volutamente marcato questo aspetto per accentuare
il delirio dei protagonisti. È un po’ come una prigione all’aria aperta, in cui
ci si sono ficcati da soli e da cui non riescono più ad uscire. È la periferia
malata e distorta in cui sono costrette a vivere migliaia di persone. Periferia
che crea mostri e geni, folli e lavoratori, miscuglio di razze che la rende
affascinante ma allo stesso tempo pericolosa. Ma il futuro di questi luoghi
resterà incerto e tremolante, se non si farà qualcosa per cambiarli e renderli
più vivibili e fruibili. M’interessava portare alla luce questo aspetto, e alla
fine, credo di esserci riuscito.
A:
Parliamo di Silvia? E’ sicuramente il personaggio più positivo del romanzo ed
anche il più delicato. E’ quello che la tua penna delinea con una dolcezza
incredibile. Sono i rari momenti in cui non si sente la rabbia e l’atmosfera
cupa presente in tutto il romanzo. Silvia esiste? Oppure è stata concepita come
figura salvifica, portatrice di speranza in una storia dove altrimenti non ce
ne sarebbe stata nemmeno l’ombra?
P: Silvia
esiste, come esistono gli altri venti personaggi del libro. Ed è la descrizione
dell’amore di cui parlavo prima. È un personaggio controverso, certo Pierpaolo
cerca una sorta di appiglio tra le sue braccia, ma così facendo rischia di
trascinarla a fondo con lui. Anche per questo alla fine è lei che si salva, è
lei che continuerà a vivere, mentre quasi tutti gli altri personaggi hanno un
destino segnato, in un certo senso sono morti che camminano.
A:
Come ho scritto nella recensione, le famiglie dei tuoi personaggi sono
praticamente assenti. Non mi riferisco ad ex mogli, o figli ma a madri, padri,
fratelli e sorelle. Sono tutte, quando ci sono, sullo sfondo. Il dramma della
tossicodipendenza non è però solo di chi la vive ma anche di chi prova a
stargli accanto. L’impotenza, la rabbia, il senso di colpa, il dolore e la
stanchezza che vivi quando stai vicino a una persona dipendente da qualche
sostanza è devastante, ti immobilizza e, allo stesso tempo, sai che qualsiasi
cosa tu faccia non potrai proteggere, sostenere e tanto meno salvare. Allora ti
chiedo: che cosa consiglieresti ad una famiglia che non vuole abbandonare una
parte di sé? Cosa è realmente utile fare?
P: Gli
consiglierei, nel bene o nel male, di non abbandonarli, di parlare, comunicare,
anche quando sembra impossibile, di tenere duro perché alla fine queste persone
sono i loro figli, fratelli, sorelle, amici, il loro stesso sangue e il sangue
è vita, la vita che continua e pulsa anche all’inferno. Nel romanzo queste
famiglie sono assenti, distrutte, e proprio per questo i personaggi sono
destinati alla morte. Sono assenti come assente è il Sistema, lo Stato, ed anche
questo è un aspetto che ho volutamente sottolineato per portare alla luce il
problema. Chi legge Caino deve rendersi conto che il problema non è solo patologico
ma psicosociale.
A:
Caino è un libro di denuncia. Paolo Battista cosa vorrebbe che venisse cambiato
nel sistema per aiutare efficacemente chi cade nel tunnel della
tossicodipendenza?
P: Tante
cose. Prima di tutto le normative, spesso inadeguate. La legislazione attuale
riempie le carceri di tossicodipendenti, trattando questo tema come un esclusivo
problema di ordine pubblico. Poi i servizi, organizzati male e molto
arretrati. Non c’è rete tra i vari enti,
e la cosa non fa che isolare e stereotipare sia i consumatori sia le loro
famiglie. Poi ancora l’assenza di un piano per la prevenzione. Il vero elemento
di novità degli ultimi anni, la riduzione del danno, è stato fortemente
ridimensionato, e questo ha portato ad una scarsa innovazione dei servizi, che
invece dovrebbero curare di più aspetti come la formazione degli operatori e le
competenze e le capacità degli stessi. Bisogna implementare le risposte sociali
e non focalizzarsi sulla dipendenza come malattia, coinvolgere amici e famiglie
e integrare l’intervento sanitario con quello comunitario. È una questione di
reinserimento e di ridare dignità a chi ha questo tipo di problemi.
A:
Parliamo di cose più leggere. Qual è l’ora migliore per scrivere secondo te?
P: Sono
un romantico in questo; la notte, quando tutto tace e i demoni fanno capolino
nella tua testa.
A:
C’era un’abitudine particolare durante la stesura del romanzo? Un rito a cui
non potevi rinunciare, ad esempio?
P: Ad
esempio caffè e marijuana.
A:
Quante ore dedicavi alla stesura del romanzo?
P: Notti
insonni per anni.
A:
Caino è il tuo primo romanzo ma non è la tua prima pubblicazione. Mi racconti
qualcosa di Paolo poeta?
P: La
poesia è il mio vero amore. E spesso anche i miei racconti sono intrisi di
poesia. Scrivo poesia da sempre e ancora
continuo a farlo. La cosa difficile è trovare il giusto equilibrio tra prosa e
poesia, ma in fondo io sono di natura un iperrealista, quindi uno che scrive
come mangia, e anche i miei versi sono pieni di riferimenti realistici, pieni
di dettagli, di piccole cose quotidiane, di crepe, di notti insonni e tanto
altro. Per me non c’è un altro modo di scrivere poesia. La cosa importante è
raccontare le cose come sono, senza fronzoli e accademismi inutili. La poesia
dev’essere chiara e godibile, altrimenti è solo merda ampollosa.
A:
Tu hai avuto la possibilità ed il merito di pubblicare con una Casa editrice: Alter
Ego. Ti va di raccontarci il tuo percorso, le eventuali porte in faccia e come
sei arrivata alla tua CE?
P: Il
mio percorso è stato simile a quello di tanti altri scrittori emergenti; Caino
è stato rifiutato per anni fino a quando un’amica scrittrice, Ilaria Palomba,
ha creduto nel progetto e l’ha fatto leggere agli amici di Alter Ego che hanno
deciso di pubblicarlo. La vita dello scrittore purtroppo è fatta di porte in
faccia, ma in fondo è una messa alla prova, dura e spietata, ma fondamentale,
utile per capire se quello che vuoi veramente è veder pubblicate le cose che
scrivi. Se dopo tante porte in faccia ancora ci provi, vuol dire che quello è
il tuo destino, e alla fine nessuno potrà toglierti la gioia di annusare la
carta dove le tue parole scorrono delicate e decise allo stesso tempo. È una
questione di volontà e cazzimma. La
spunta solo chi ci crede veramente!
A:
Che cosa pensi del self publishing? Secondo te può essere una risorsa per gli
aspiranti scrittori? E tu hai mai pensato di pubblicare come self?
P: Può
essere utile ( uno dei miei libri di poesia: Inferno di contorno, l’ho
pubblicato a mie spese ), ma non può essere l’unica via. Arriva un momento
nella vita di uno scrittore dove affrontare il MostroEditoria è inevitabile, indispensabile, per capire di che
pasta sei fatto.
A:
Ultima domanda: stai lavorando già ad un nuovo romanzo?
P: Si,
certo… dopo Caino ho scritto altri due romanzi che per ora hanno bisogno di
revisioni e riletture. L’ultimo, La
bestia, non ha avuto la stessa gestazione di Caino e l’ho scritto in poco
più di un mese. L’ispirazione a volte è una bellissima dea con le cosce
spalancate. Vedremo! Al solito la cosa difficile sarà trovare un editore. Vedremo!
Vedremo come andrà a finire.
A:
Grazie Paolo e alla prossima!
P: Grazie
a te, è stato un piacere. Ciao!
Siamo arrivati alla fine di questo terzo intenso episodio di Viaggio fra gli Autori emergenti. A febbraio, scopriremo un'Autrice genovese che è anche una sagace blogger. A presto!
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Dove acquistare il romanzo:
Alter Ego Edizioni
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Amazon link affiliato
(Attenzione! Questo secondo link ad Amazon contiene il mio codice affiliato. In pratica, acquistando da questo link e non da quello normale farete in modo che io percepisca una piccola percentuale che ovviamente userò per sostenere il progetto di Aspettando le Astronavi. Per voi non ci sarà alcun sovrapprezzo come potrete verificare confrontando i due link. Grazie a chi mi darà una mano!)
Ibs
La Feltrinelli
Libraccio
Ciao! Non ho letto il libro ma credo non sia facile parlare di argomenti cosi delicati! Bella la tua recensione e credo che lo acquisterò; sono molto incuriosito dal racconto.
RispondiEliminaCiao, Massimo.
Ciao Massimo, grazie per il commento! L'argomento è decisamente "difficile" e complesso, forse necessita anche di una certa predisposizione d'animo perchè i toni cupi sono predominanti all'interno del romanzo. A presto!
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