Racconti sul treno: Filippo








Orte, 15 dicembre 2017.

Anche stamattina la maledetta sveglia ha suonato. Anche stamattina sono ancora vivo. Visto che non posso fare altrimenti, mi butto giù dal letto e vado in bagno a pisciare e, come al solito, c'è dentro mia sorella che sta seguendo tutte quelle stronzate che lei chiama "morning routine". 
Ha 13 anni e si comporta come se ne avesse 40: crema al mattino, crema alla sera, maschere il fine settimana, guai uscire senza il mascara e lo smalto sulle unghie. Lei vorrebbe truccarsi di più ma, per fortuna, nostra madre ha ancora polso su di lei e glielo vieta. Già così impiega quasi un'ora e mezza per prepararsi... Busso con vigore alla porta: "Martina! Vuoi uscire dal bagno che devo pisciare?"- Silenzio. Sento solo Selena Gomez che canta da dentro...
Riprovo con più convinzione: "Martina, dai sono le 6:20 devo pijà 'l treno!". La porta si apre di colpo, mia sorella mi guarda come se stesse guardando un verme e mi dà il suo solito buongiorno: "Ahò Filì, ammazza quanto si brutto... E puzzi pure. Che te sei piasciato sotto?" e ridacchia.
Penso solo che vorrei prenderla a schiaffi per la maggior parte del tempo ma la mia vescica ha la meglio, sposto mia sorella di lato e le chiudo la porta in faccia. La sento allontanarsi ridendo. 
Mi butto sotto la doccia e ho freddo, maledetto inverno, non passa mai. Mi torna alla mente che fino a due anni fa adoravo dicembre, il Natale, le atmosfere, i regali, le vacanze ed il tempo per stare con gli amici. Ma da due anni le cose sono cambiate: mi fa tutto schifo, mi fa schifo la vita, mi faccio schifo io.
Mi vesto velocemente, prendo lo zaino al volo e vado in cucina a salutare mamma. Sta bevendo il caffè e leggendo una rivista, ha ancora i bigodini in testa da ieri. 
"Ciao ma! Io vado..."
Alza distrattamente la mano mentre urla a mia sorella si sbrigarsi. Inforco la porta ed esco.
E' buio, fa freddo ma almeno non piove. Mi incammino verso la stazione. Siamo in tanti ad andare verso la stazione da queste parti, sembra il fulcro di tutto questa somma di cemento e binari. Arrivo al mio di binario alle 7, il mio treno non porta ritardo. Mi guardo intorno e vedo sul binario 3 tutti i pendolari diretti a Roma e in attesa del treno delle 7:17 che si agitano. Guardo il pannello: il loro treno ha 20 minuti di ritardo. Penso, fra me e me, che presto o tardi mi toccherà unirmi a loro, se rimarrò qui. Una vita fatta di treni, corse, incazzature per pochi spicci da portare a casa. 
Intendiamoci, vivere ad Orte non è male, sopratutto se ci sei nato e conosci tutti. Il problema è che per lavorare sei costretto ad andare a Roma. Se sei fortunato a Viterbo o a Terni. 
Dopo le scuole medie, ho iniziato a viaggiare anch'io per andare a Terni. Ho scelto di frequentare ragioneria lì. Il viaggio da Orte a Terni è breve: quindici, venti minuti e ci sei. Quel che temo è il futuro. Quel futuro chiamato Roma. 
"Che vita di merda..." penso ad alta voce.
"Ehi sfigato, cos'hai detto?"
La voce inconfondibile di Riccardo mi colpisce come un pugno allo stomaco.
"Non parlavo con te." rispondo fermo
"Sarà meglio perchè sennò te faccio nero come sei mesi fa, femminuccia!" 
Sei mesi fa.... Ricordo perfettamente le botte che presi per essermi rifiutato di dargli i soldi per comprarsi il pranzo. Che poi non mi ero rifiutato, non li avevo, avevo solo quelli per me. Ma lui voleva proprio quelli e, visto il mio rifiuto, mi aveva colpito al costato con violenza, alla schiena, alla pancia ma mai al volto. Dopo mi aveva minacciato che, se avessi detto qualcosa, avrebbe fatto la stessa cosa a mia sorella. Non dissi nulla, nascosi i segni, mia madre e mia sorella non si accorsero di nulla. Da quel giorno la mia vita è cambiata definitivamente: Riccardo mi prende in giro ad ogni occasione, mi dice che sono una femminuccia, mi umilia davanti agli altri, mi obbliga a fare cose per lui ricattandomi con mia sorella. Quella stupida ha una cotta per lui ed io, per far sì che lui le resti lontano, sopporto qualsiasi cosa ma sono stanco. Stanco di non poter essere me stesso, stanco di subire, stanco di essere invisibile per tutti. Persino mia madre non si accorge di niente... All'improvviso annunciano il mio treno: "Il treno regionale 22810 di Trenitalia, proveniente da Roma Termini e diretto a Foligno delle ore 7:39 è in arrivo al binario 2. Ferma a...". Non ascolto il resto, non mi importa. 
Salgo sul treno, Riccardo dietro di me con i suoi due scagnozzi. Per fortuna vedo subito un posto singolo lato finestrino rimasto vuoto mentre gli altri tre sono occupati da una coppia con una bambina. Riccardo mi guarda con intensa rabbia e si allontana. Tiro un sospiro di sollievo. L'uomo seduto accanto a me mi chiede: "Tutto bene?". Faccio un cenno affermativo con la testa. Lui non insiste e si rimette a sonnecchiare. In un tempo troppo breve il treno arriva a destinazione ed io mi ritrovo fuori dalla stazione di Terni con Riccardo ed i suoi amici alle calcagna. Allungo il passo ma sono ancora troppo basso rispetto a lui, sono troppo magro rispetto a lui, sono troppo poco di tutto rispetto a lui, maledizione!
"Ehi femminuccia, dove corri? Oggi ti sei già ribellato troppo. Allora per farti perdonare ci porti da Clapier a far colazione. Tanto oggi si entra alle 9, no?"
Non provo nemmeno a replicare e ci dirigiamo verso il bar pasticceria che sta vicino alla stazione. Lungo il viale alberato che porta da Clapier vedo Elena. E' bellissima come sempre: bionda, occhi grandi e verdi, un fisico bellissimo, quella che tutti vorrebbero ma che non considera nessuno. Nemmeno Riccardo che da lei ha preso più di un due di picche. Forse, oltre alla sua bellezza, è questo che mi piace di lei che tiene testa a questo stronzo di fianco a me. 
Entriamo da Clapier. Riccardo e i due fanno una colazione abbondante, schernendomi per tutto il tempo, io bevo solo un cappuccino e, ovviamente, pago per tutti. Quando usciamo dalla pasticceria troviamo Elena in attesa. Riccardo monta subito la coda da pavone e le si para davanti.
"Aspetti me, dolcezza?"
"Scansate, Riccà, piuttosto che aspettare te me faccio suora. Sto aspettando Filippo. Mi ha promesso di aiutarmi con un compito."
Elena mi sorride, mi si avvicina e mi dice se possiamo andare. Io credo di non aver nemmeno risposto e di averla seguita come un automa. Il tragitto fino a scuola è stato il momento più bello della mia vita. Lei profuma, ha una voce bellissima, le mani lunghe e affusolate, bianche. Come vorrei toccarle, stringerle, baciarle. Provo tante emozioni che mi scuotono, che mi provocano reazioni fisiche che non riesco a controllare e che spero sempre che nessuno noti. 
Dopo quel poco tempo passato con Elena la giornata a scuola è passata veloce, mi sento leggero, quasi felice.
Sto camminando verso la stazione, una delle poche certezze della mia inutile vita, quando mi sento afferrare e trascinare via. Non ricordo quanto mi hanno trascinato, non ricordo se ho urlato, non ricordo in quanti mi hanno colpito. Ricordo solo il dolore. Ricordo solo di essermi odiato per l'ennesima volta per non essere stato capace di reagire. 
Ho perso il treno ovviamente... Sento dolore ovunque ma riesco a restare dritto in modo da far sì che nessuno si accorga che qualcosa non va. Credo che mi abbiano rotto una costola questa volta. Sarà un problema dissimulare, penso. Un treno in transito sfreccia sul binario e, per qualche secondo, vedo la mia immagine riflessa sui finestrini che scorrono veloci. Mi odio. Odio vedermi, odio ciò che sono, odio gli altri, odio il fatto stesso di essere vivo. 
Poco dopo, annunciano il mio treno, lo vedo arrivare ed è un attimo allungare il piede oltre il marciapiede, un attimo mettere fine a tutto questo... Sì, mi sento già meglio, mi sento più leggero, pace, libertà, silenzio... 
"Filippo attento!" 
Mi trovo per terra, avvolto da due braccia delicate ma ferme, il treno si è fermato, la gente è tutta intorno a noi. A "noi"? Giro il volto e vedo Elena che ancora mi tiene stretto.
"Ma cosa volevi fare, Fili?" mi chiede con le lacrime e una dolcezza che non ho mai visto prima. 
Sento caldo sul volto. Sto piangendo.
"Sono stanco, Ele. Perchè non mi hai lasciato andare?"
"Perchè tu sei un mio amico. Io non lascio gli amici... So tutto di Riccardo, so quel che ti ha fatto, so come ti minaccia. Oggi ti ho avvicinato per questo ma poi non ho avuto il coraggio. Dio mio, perdonami!"
Piange anche lei. Sento che per qualcuno sono reale finalmente, sento che sono vivo, sento che, forse, posso provare a cambiare le cose. Sento calore, tanto calore. Capisco per la prima volta l'importanza di sentire che ci si può affidare  a qualcuno. 
Elena ha spezzato la mia solitudine. 
Delle ore successive ho un ricordo sbiadito. Ricordo mia madre che piange e mi abbraccia causandomi un dolore immenso ma bello, ricordo Martina che mi chiede perdono, ricordo tante domande di medici e polizia. 
Tutto però è confuso, l'unica sensazione nitida è la mano di Elena nella mia e quel movimento nello stomaco che mi dice che sono vivo e che voglio continuare ad esserlo, anche se significherà incazzarmi ogni mattina al binario 3 in attesa del treno per Roma.

Commenti

  1. Bel racconto! Semplice ma che fa riflettere enormemente sul bullismo.

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    1. Tanto bullismo al mondo davvero tanto, se solo noi genitori ce ne rendessimo conto e potessimo aiutarli ma loro sono così silenziosi li vedi differenti ma pensi sarà solo l'adolescenza vorranno attirare l'attenzione...

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